Il basket, il giornalismo e la comunicazione: riflessione su un mondo che deve cambiare (pt.3)
Prosegue la riflessione su basket, comunicazione e giornalismo: focus odierno su club e protagonisti.

Terzo appuntamento con la nostra riflessione sul mondo del basket, del giornalismo e della comunicazione ribadendo una volta di più che nel caso di chi scrive non si può non partire da un dato certo che sgomberi il campo da ogni tipo di dubbio: non sono un giornalista di professione e quanto fatto nel settembre 2016 con la creazione di Eurodevotion è stata un'avventura iniziata per pura passione e progressivamente continuata con voglia di proporre il miglior prodotto possibile su una competizione come Eurolega, allora di fronte ad un cambiamento storico.
Altrettanto corretto chiarire come non ho mai creduto, e mai crederò, all'eventualità che un semplice tesserino dia maggiore credibilità rispetto a valori come serietà e professionalità che vanno ben oltre l'inquadramento in una categoria. A dirla tutto ho sempre pensato che svolgere qualsiasi attività con passione ed equilibrio sia caratteristica che può accompagnare chiunque partendo da un'umiltà che deve nutrire la voglia di conoscere e sperimentare ogni giorno di più.
Detto questo, da giorni, in realtà da tanti mesi come ribadito nei due precedenti approfondimenti, mi pongo diverse domande riguardo il mondo della pallacanestro, segnatamente quella europea, la comunicazione che la riguarda ed il giornalismo che la tratta. I dubbi sono tanti, le certezze che più di qualcosa non funzioni decisamente di più, la scarsa considerazione del lavoro svolto forse il tema che supera tutto con un pensiero che sta alla base di tutto: siamo certi che quanto si produce sia fatto nel rispetto dei appassionati, che poi sono i lettori, unica vera componente irrinunciabile di tutto questo mondo?

La comunicazione di club e protagonisti: con poche eccezioni si lavora poco e male, soprattutto ai livelli più alti
Non ci siamo, ma proprio per nulla!
E' questione discussa decine di volte durante gli appuntamenti qui sul nostro sito come in occasione di dirette con Area 52 piuttosto che nel podcast congiunto prodotto con Simone Mazzola. I club ed i protagonisti del gioco europeo si propongono in maniera del tutto inutile per la diffusione del prodotto.
Ci si lamenta del fatto che il prodotto non renda ma la realtà indiscutibile è che la responsabilità di tutto ciò è solo ed esclusivamente da condividersi tra club, protagonisti e leghe in cui si compete. Quali pretese, quali lamentele di ordine finanziario potrebbero mai essere accettabili di fronte a muri di gomma sui quali rimbalza pressochè quotidianamente chi si propone per divulgare tutto quanto riguarda il gioco?
Le eccezioni ci sono ed infatti se ne denota la qualità di lavoro superiore, nonchè addirittura è spesso possibilissimo che queste eccezioni si trovino in condizioni di lavoro ben più complicate, ovvero categorie inferiori dove però si possono ritrovare individui che ricoprono ruoli legati alla comunicazione che producono contenuti eccellenti. Pare assurdo, ma salendo di categoria scende la qualità della stessa comunicazione.
Chi non va oltre comunicati da congresso DC anni '70, chi semplicemente si crede superiore per dare retta alle varie richieste, chi crede di fare il bene del movimento e dei propri protagonisti scegliendo di isolarli in una sorta di campane di vetro. Guardare e non toccare, che poi si traduce in non far conoscere.
Il mondo del giornalismo odierno legato al basket vede come maggiori protagonisti e divulgatori di ciò che appartiene al gioco gli operatori del web. Siti, blog e pagine social che ogni santo giorno si occupano di faccende cestistiche: taluni con passione, organizzazione, serietà e professionalità, anche di fronte a ritorni economici inesistenti o comunque minimi, altri certamente con minore qualità.
Alzare un muro generico che separi tutto ciò da chi è protagonista del gioco è un'operazione fallimentare e lo dimostrano i numeri di cui poi proprio chi alza quei muri si lamenta. Nonchè una dimostrazione di totale incapacità di dove e come riporre la propria fiducia valutando la qualità rispetto ai casi in cui non vi sia.
Vi sono situazioni in cui si si privilegia addirittura la carta stampata, scelta che oggi equivale a percorrere un'autostrada con la carrozza a cavalli di fianco alle autovetture, pensando di andare più veloci. Sia chiaro che non si tratta di un attacco ai giornali trazioni, generalisti come sportivi, all'interno dei quali vi sono giornalisti di assoluto rilievo, ma soltanto di fare i conti con quella carta stampata che tratta, segnatamente in Italia, il basket come un prodotto di serie B, spesso C, al quale dedicare interesse solo di fronte a casi di ritorni economici (sponsorizzazioni) e comunque molto, molto limitatamente.
Facciamola breve: quanti articoli che siano approfondimenti di qualità si possono leggere sui quotidiani durante la settimana? Di contro, quanti degli stessi approfondimenti vengono prodotti dai sopra menzionati siti, blog etc? Differenza enorme, sia quantitativa che qualitativa eppure esiste ancora chi prensa di diffondere il gioco attraverso il nulla o poco più. “Tafazziane” è l'unico aggettivo che ci viene in mente di associare a queste scelte.
Ed ancora, se proprio volete conferma di quanto stiamo sostenendo, provate a chiedere agli appassionati, ovvero a voi stessi nel caso stiate leggendo, se ogni mattino, in occasione di ogni pausa lavorativa ed ogni sera prima di terminare la propria giornata prendono in mano un quotidiano oppure prediligono un sito piuttosto che un altro per trovare notizie sul gioco che amano. Serve la risposta?
Un grandissimo club, uno dei tanti con cui il nostro sito si pregia di avere comunque ottimi rapporti, un giorno, attraverso il proprio responsabile della comunicazione ci disse testualmente: «Sarebbe bello potervi concedere di più perchè siete sempre presenti e quotidianamente fornite prodotti sul gioco, ma la politica del nostro club indicata dai vertici è quella di avere a che fare con giornalisti che appartengano solo ai media che ufficialmente hanno i diritti e sono partner finanziari delle competizioni in cui giochiamo».
Ecco, ci viene da osservare, peccato che poi quelle competizioni cui partecipate le raccontiamo quotidianamente noi, non questi soggetti “istituzionali”.
Limitandoci all'Eurolega, sapete quante sono le regole stabilite dall'organizzazione che vengono settimanalmente violate dai club partecipanti in termini di comunicazione e disponibilità coi media? Tante, troppe. Quante di queste violazioni vengono sanzionate? Dobbiamo dirvelo o è già chiaro? E ci torneremo, andando ad analizzare una volta di più le 577 pagine delle Bylaws della manifestazione.
Altri esempi ci aiutano a chiarire il nostro pensiero. Come sa ogni nostro lettore, chi scrive da ormai 5 anni il lunedì sera produce con Andrea Solaini, telecronista arcinoto, AREA 52, un programma in onda su YouTube dedicato all'Eurolega. Ebbene, la ricerca di ospiti che siano protagonisti della manifestazione è diventata una sorta di “mission impossible”. Se c'è il doppio turno non si può perchè è giorno di viaggio o pre-gara, se non c'è non si può perchè il lunedì è riposo… Ora, ditemi che un giocatore, un allenatore od un dirigente non trova 30' per partecipare ad una live che non fa che divulgare ciò che riguarda il gioco: ridicolo! Poi però si prosegue a lamentare la mancanza di sostenibilità del prodotto, lo stesso che si tiene nascosto nel nome di privilegi e vizi senza capo né coda.
Altro caso è quello del rifiuto a parlare con i media ritenuti unilateralmente “nemici” solo per qualche critica che si pensa sia stata eccessiva. Ed allora viene in mente quanto disse una grandissima gionalista come Oriana Fallaci: «Ho sempre amato il confronto. Quello vero, quello che graffia. Perché lo scontro è l’unico modo per arrivare alla verità. Senza verità, non si vive: si vegeta. Io non ho mai vegetato. Ho visto la Storia e ho visto me stessa, i miei sentimenti, senza fingere, senza veli. E sì, a molti sembravo aggressiva. Ma chi scambia la passione per aggressività non ha mai conosciuto la passione».
Il confronto, appunto. Se sono un protagonista e credo che sia stata formulata una critica eccessiva al mio operato la cosa migliore da fare dovrebbe essere quella di confrontarsi e smontare quella stessa critica proponendo le mie ragioni. Invece no, meglio nascondersi e tagliare fuori l'interlocutore: quell'interlocutore di cui appunto si scambia la passione per aggressività. Il tutto perchè spesso la verità fa male, ma lo fa solo a chi la nasconde.
Tutto ciò porta ad un altro fenomeno ahimè popolarissimo ai giorni nostri: le interviste autoprodotte sui canali ufficiali dei club. Interessanti come un dibattito tra Peppa Big ed un Teletubby!
Avete mai sentito esprimere un concetto vagamente attrattivo da quelle mielose chiacchierate davanti ad una telecamera nelle sedi dei club? Ma cosa ci si potrebbe aspettare di diverso? Rispondere a domandine telecomandate può portare a qualcosa? Quanto sarebbe differente confrontarsi con un giornalista che avesse la possibilità di porre anche qualche domanda più interessante, perfino scomoda? E le chiamano interviste… ma per favore!
Tutto quanto riportato, insieme ad altri mille esempi, porta al nulla comunicativo e di conseguenza ad una diffusione del prodotto basket oltremodo limitata e ben poco interessante.
Qui, diversamente dai temi trattati nei due giorni precedenti, le soluzioni ci sono e sarebbero semplicissime: basterebbe lavorare e farlo seriamente senza preconcetti ed idee che più che balzane sono dannose. Pare che questa volontà però manchi, a favore di un continuo piagnisteo che non porta da nessuna parte.