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Il basket e la comunicazione

Ultimi due appuntamenti, questa settimana, con la riflessione sul mondo del basket, del giornalismo e della comunicazione ribadendo ancora una volta che, per chi non ne fosse a conoscenza, nel caso di chi scrive non può non partire da un dato certo che sgomberi il campo da ogni tipo di dubbio: io non sono un giornalista di professione e quanto fatto nel settembre 2016 con la creazione di Eurodevotion è stata un'avventura iniziata per pura passione e progressivamente continuata con voglia di proporre il miglior prodotto possibile su una competizione come Eurolega, allora di fronte ad un cambiamento storico.

Altresì corretto chiarire una volta di più  come non ho mai creduto, e mai crederò, nell'eventualità che un semplice tesserino possa dare maggiore credibilità rispetto a valori come serietà e professionalità che vanno ben oltre l'inquadramento in una professione. A dirla tutto ho sempre pensato che svolgere qualsiasi attività con passione ed equilibrio sia caratteristica che può accompagnare chiunque partendo da un'umiltà che deve nutrire la voglia di conoscere e sperimentare ogni giorno di più.

Prosegue quindi il tentativo di addentrarsi nelle diverse domande riguardo il mondo della pallacanestro, segnatamente quella europea, la comunicazione che la riguarda ed il giornalismo che la tratta. I dubbi sono tanti, le certezze che più di qualcosa non funzioni decisamente di più, la scarsa considerazione del lavoro svolto forse il tema chiave  con un pensiero che sta alla base di tutto: siamo certi che quanto si produce sia fatto nel rispetto dei appassionati, che poi sono i lettori, unica vera componente irrinunciabile di tutto questo mondo?

Qui le recenti analisi sul paragone con altri sport più popolari, sul riconoscimento del lavoro e sulla comunicazione dei protagonisti. 

 

La comunicazione nella pallcanestro

I titoli, il clickbaiting e gli appassionati: affabulazione o comunicazione?

Da sempre la ricerca di un titolo che sia in grado di attirare l'attenzione del lettore è operazione doverosa da parte di chi propone un prodotto giornalistico. E qui non vi è nulla di male.

La deriva odierna è però francamente inaccettabile, a dirla nemmeno tutta.

Ricerca spasmodica e ripetuta di aggettivi che acchiappino l'attenzione del lettore senza avere nulla a che vedere con la reale informazione che si dà: roba come “clamoroso” o “iconico” associata a storielle che non interesserebbero nemmeno in un pollaio, domande portatrici di possibili contenuti di alto profilo che in realtà approdano al nulla più assoluto…

Ma soprattutto la terribile ed ormai consolidata abitudine di titolare  solo per farsi leggere senza reale introduzione al contenuto che si propone. Esempi? Una miriade. “Un ex campione NBA si unisce a…”, “Il club X ha trovato il suo leader",  “L'allenatore Y firma per il club dei suoi sogni” e così via. Senza nomi e senza fatti. Se vuoi sapere devi aprire l'articolo.

E' vero, e non si può certo negarlo, che molti lettori si limitino a quel titolo, illudendosi così di avere  un quadro completo di quanto poi viene trattato nel corpo dell'articolo, è purtroppo realtà, tuttavia sarà una posizione poco diplomatica, ma ritengo che così facendo si prendano in giro i lettori stessi obbligandoli ad aprire il contenuto.

E c'è un esempio molto chiaro che posso proporre riguardo titoli e contenuto. Come molti dei nostri lettori sapranno il sabato registro un podcast in collaborazione con Simone Mazzola di Backdoor Podcast. Cerchiamo di approfondire i temi della settimana di Eurolega e lo facciamo in un programma di circa un'oretta. Pubblichiamo il tutto in articoli che compaiono su entrambi i nostri siti nei quali introduciamo i temi trattati senza entrare nei dettagli, una sorta di sommario semplicissimo. Ebbene, più di una volta è capitato di avere un determinato numero di letture dell'articolo, abbastanza elevato, mentre l'ascolto del podcast compreso nell'articolo stesso è risultato pari a nemmeno un terzo delle letture dell'articolo stesso. Ora, vero che gli argomenti trattati possono non interessare, ci mancherebbe, ma che senso ha limitarsi ad un titolo e ad un sommario senza provare ad approfondire quei temi per farsene un'idea precisa?

Se devo scrivere una notizia, ad esempio di mercato, in cui annuncio che il giocatore X ha firmato per la squadra Y, metto nel titolo giocatore e squadra. L'articolo verrà letto da pochi perchè la maggioranza si sentirà soddisfatta dell'informazione ricevuta nel titolo? Poco male, il dovere di non prendere per i fondelli nessuno sfruttandone la curiosità a mio parere viene prima.

Ma c'è qualcuno ridotto così male, incapace di attrarre attraverso contenuti di valore, da dover utilizzare questi pietosi trucchetti per avere effimero successo?

Mi tornano in mente i titoli di Superbasket nella versione guidata da Aldo Giordani, quando in prima pagina sbatteva i protagonisti con tanto di nomi, cognomi e fatti: lo leggevi perchè sapevi che all'interno vi erano contenuti veri, interessanti, appassionanti e che arricchivano. Non aveva certo bisogno di attrarre con una sorta di affabulazione.

Altra situazione sufficientemente vergognosa riguarda il tentativo di raggirare il lettore con informazioni equivoche nel titolo stesso.

Un esempio? Viene dal calcio, ma è chiarissimo. Qualche mese fa venne riportata da molti organi di stampa la notizia di un potenziale alterco all'interno di uno spogliatoio dopo una gara di campionato Primavera che avrebbe visto protagonista Zaniolo, ex giocatore della Roma. 

Diversi media parlavano del giocatore che “alterato avrebbe urinato nello nello spogliatoio dei giovani della sua ex squadra, con relativo battibecco con alcuni di loro”. Ora, è semplicissimo: se voglio fare del clamore ingiustificato, possibilmente pure falso e quindi perseguibile, la scrivo in quel modo cosicché il lettore è portato a pensare che l'atleta abbia urinato all'interno dello spogliatoio senza farlo nei bagni dello stesso. Quindi dove l'ha fatto? In mezzo allo spogliatoio stesso? Il dubbio viene così insinuato, si propone un fatto (?) che è certamente deprecabile e clamoroso e così si ottiene il famoso click, l'articolo viene aperto e letto. Poco importa se poi si scopre che magari il protagonista è semplicmente andato in bagno, l'importante era far pensare all'incredibile ed alla vergogna attraverso l'equivoco.

Come si sta lavorando se si propone un contenuto simile con quel titolo? Quanto rispetto si mostra nei confronti del lettore? Per non parlare poi dei fatti reali, che se diversi meriterebbero un procedimento a carico di chi li ha inventati danneggiando il protagonista.

Lungi da me difendere od attaccare Zaniolo, che né conosco né mi interessa ed è quindi solo un esempio, tuttavia in un mondo in cui si fanno articoli su chi è immortalato nel salvaschermo di Jannik Sinner attraverso una foto rubacchiata dal web, viene da pensare che il livello del giornalismo sia ormai caduto, troppo spesso, molto in basso. Ed allora mi chiedo, e lo faccio rivolgendomi ai pasdaran del tesserino protettori delle categorie blindate, se per caso chi di dovere (associazioni piuttosto che editori) scava a fondo per trovare la realtà ed eventualmente prendere provvedimenti nei confronti di chi si è reso protagonista di tante falsità.

Pare assai chiaro ed evidente come un mondo quale quello del basket, segnatamente quello tricolore,  abbia l'assoluta necessità di diversificare rispetto alle negatività proposte da altri sport. In un momento complicatissimo della propria storia proporsi in maniera qualitativa può fare la differenza, senza dimenticare, come abbiamo già detto, la capacità di arrivare alla gente senza sentirsi superiori.

Per chiudere la tematica dei problemi evidenziati è abbastanza ovvio come sarebbe sufficiente che fosse esercitato un reale controllo su questi contenuti da parte di chi di dovere per mettere in un angolo chi si rende protagonista di tale cattiva informazione, tuttavia credo che il giudizio più vero, chiaro ed inappellabile debba arrivare dal lettore. In mancanza di questa valutazione non cambierà nulla e continueremo a vivere in un mondo di esagerazione e cattiva informazione. E quello sì, sarebbe poco “iconico” e molto “clamoroso”.

 

 

 

 

 

 

 

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